giovedì 24 settembre 2009

Del maiale non si butta via niente. Mai.


Nell'era dello spreco, l'unica cosa che rimane sempre piena è la pattumiera. Però, negli ultimi anni, qualcuno ha deciso che era meglio svuotare anche quella, allora per la penisola si sono moltiplicate iniziative che si preoccupano di "riciclare" tutto ciò che rimane invenduto o che è in scadenza. Si riusa di tutto: gli alimentari, farmaci e anche i libri (perchè qualcuno pensa che anche la cultura sia da sprecare. Già, già...).
Un servizio offerto.
Questi sono di Bologna, l'associazione (rigorosamente no-profit) si chiama Last minute market e questo è il loro sito:www.lastminutemarket.org
E questo quello che succede a Crema e un pò in tutta la Lombardia, grazie alla Coop: Iniziativa Buon fine

Sono le piccole cose, in fondo, che fanno bene alle persone.

venerdì 18 settembre 2009

Ricette scorrette.



Nuovo libro. Ne ho letti un bel pò ultimamente, tutti legati allo stasso argomento, la maggior parte dei quali fatti di parole e espressioni veramente da specialisti dell'argomento. Fatt'è...Ce n'è uno che mi è rimasto nella testa, perchè racconta di persone, di storie vere, di facce, di ingredienti che si mescolano e creano la novità, di mani che impastano e coltelli che affettano. Il libro si chiama "Ricette scorrette", scritto da Andrea Perin.
Le ricette scorrette nascono dalla sostituzione, dall'addizione e dalla sottrazione di ingredienti a ricette "tipiche", siano esse provenienti dalla cucina cinese, francese, italiana. Succede molte volte che, trasferendosi in un Paese estero, non si trovino più determinati ingredienti per poter preparare le ricette del proprio Paese d'origine. Allora si sostituiscono con altri ingredienti, creando una cucina nuova, ma identitaria. Nel libro ci sono le storie di Vlad, russo, e del suo Bortsch, di Yuan, cinese, e di come prepara gli gnocchi di riso al ragù, di Silvina, italiana, che prepara la torta salata di humita.
Sperimentale e buono. Contro tutti quelli che usano la cucina italiana in maniera razzista. C'è la polenta e anche il cous cous (che poi sono più o meno la stessa cosa, cambiano gli ingredienti).

sabato 12 settembre 2009

L'estetica.


State fermi, non muovetevi, datevi un contegno – ragazza si comporta come una asse di legno. Ragazza cerca di gestire un universo con la cosmesi – la mia immaginazione la priva degli occhiali costosi oscurati. Osservo i tratti dei volti immaginando capelli rapati, vestiti depauperati da ammenicoli che rendono simili ad abeti addobbati, orpelli che pendono da entrambi i lati. Ilari noi, con una punta di disprezzo: ci ricordiamo i tratti del volto, andiamo oltre gli occhiali, il pizzetto, il berretto, indovina chi?, forza quattro, gira la moda! Una ruota con quattro teste di ragazze diverse, quattro tette di ragazze diverse, otto cosce di ragazze diverse – gira la ruota e prova nuove combinazioni, crea nuove divisioni estetiche, ovvero stili. Tutto questo per dare l’impressione che la varietà esista – ma si tratta pur sempre di una ruota che mischia le classiche quattro caratteristiche catturate nel tempo dalle macchine fotografiche: ragazze fiche! O forse sono io che tengo negli occhi quelle fotografie che fin da piccolo mi sono state mostrate. Guardate le persone e non vi concentrate: troppa fatica a scremare la cultura delle immagini che impedisce di capire cosa veramente vi piace guardare. Gradite una persona od un paesaggio nella misura in cui tale persona e tale paesaggio somigliano all’ideale di persona e paesaggio che avete dentro, tutto il resto è merda, è indifferente, a volte non lo notate neanche. E non avete neanche il coraggio di risalire la corrente per giungere all’origine del vostro gusto estetico. Per carità, potreste scoprire che vi piacciono irrimediabilmente le ragazze brutte! Che figura ci fareste con i vostri amici se sapessero che avete un’insana perversione per i tagli, per le macchie, le ossa che spuntano? Sarà un caso, ma i vostri gusti combaciano con i canoni estetici che nascono e cambiano quando i canoni estetici cambiano. Non importa se discutere dei gusti altrui sia inutile, anche perché trovo oltraggioso che qualcuno ritenga i miei gusti una autosuggestione che serve solo a dare contro ai gusti delle altre persone. Forse se mi facessi un tatuaggio con scritto “osservazione” capireste che cosa faccio tutti i giorni, io! Sì, perché voi capite solo i tatuaggi, gli orecchini, i piercing, gli occhiali, le pettinature, i vestiti, i siti internet, le fotografie ritoccate, le fotografie che mostrano solo una parte di quello che c’è da vedere, le copertine, i giornali, i disegni un po’ grafici perché il tratto ormai è scomodo, i disegni sporchi apposta, perché per farvi capire che qualcosa è estemporaneo ed improvvisato bisogna scrivervelo sotto a caratteri totalitari. Capite i film se qualcuno che vi sta simpatico ve li spiega, altrimenti non vale nemmeno la pena di sforzarsi di stare due ore seduti in poltrona, perché, dio mio, potreste vedere qualcosa che non vi piace! La soluzione per voi? I film in bianco e bianco, muto! Il giornale di una pagina, vuoto! Un lavoro serio di responsabilità e fatica, pasta e fagioli, carne alla brace, la canzone che stavate ascoltando che ad un tratto tace.

L'estetica. Uochi Toki. Laze Biose.

mercoledì 9 settembre 2009

Lo dice Jane. Cosa ne pensa Tarzan?



Dal Corriere della Sera di oggi:

"CREMONA - Menu' in salsa leghista nelle mense scolastiche di Cremona. L'assessore alle Politiche educative del Comune, Jane Alquati, della Lega Nord, sta lavorando alla ridefinizione dei menu' per le mense scolastiche della citta': l'obiettivo e' favorire i prodotti locali e far mangiare ai bambini cibi prodotti in provincia di Cremona. ''Meglio per tutti, bambini compresi, i nostri cibi - spiega l'assessore - il semolino con le verdure delle nostre campagne, magari arricchito di pollo, e' un piatto che ha le stesse qualita' nutrizionali del couscous''.

Poteva essere una bella iniziativa. Utilizzo di ricette etniche in salsa locale, poteva essere un bell'esempio di integrazione tra culture. Poteva. Peccato che si butti tutto in politica. Ancora una volta.

Io vi consiglio: http://ricettescorrette.noblogs.org/ non in salsa leghista.

domenica 6 settembre 2009

I disturbi alimentari. Ovvero quando il peso è un problema.



Anoressia. Bulimia. Obesità.
Le tre malattie del secolo, insieme all'AIDS e al cancro. Non voglio che i miei lettori si deprimano con questo post, ma queste tre gravi malattie sono legate ai mutamenti degli stili alimentari dei Paesi Occidentali e in egual parte a come il corpo viene utilizzato dai media.
Su Wikipedia.

Probabilmente qualcuno di voi c'è passato. Io sono stata "obesa" fino a poco fa. Adesso sovrappeso. Parlo per esperienza. L'obesità è dovuta a vari fattori: c'è chi mangia troppo, chi non si muove per niente (forse il mio caso), chi ha problemi ormonali e chi di metabolismo lento. Ebbene, sarà per un senso di vendetta nei confronti di chi, per quasi 23 anni, ha pensato bene di spendere il proprio tempo a ricordare alle persone obese che erano persone ciccione, sarà che ultimamente sono mossa da uno spirito giornalistico/investigativo che nemmeno il mix Milena Gabanelli e super genio Carlo Lucarelli potrebbero eguagliare, fatto sta che vi racconterò la vita vista da una "ex-obesa, ora in sovrappeso".
Bene. In un mondo dove la chiappa soda è d'obbligo e la tetta se cade è da siliconare e il presidente del Consiglio va a letto con le diciottenni perchè la moglie, pressochè rifatta di cinquant'anni non lo soddisfa più, sta crescendo sempre di più il numero delle persone obese. L'obeso di per sè, solitamente, è una persona timida, sempre sorridente (anche se dentro vorrebbe morire) e piena di spirito d'iniziativa. Peccato che tutte le iniziative, finiranno poi per finire nel cesso causa il peso.
Bene. Nel 2002 pesavo 130 chili. Spero che qualcuno se ne ricordi. Ora ne porto con me 89 e con orgoglio. La fu Vera Mazzoleni Ferracini. Con i chili persi, però, mi è aumentata l'arrabbiatura che era soffocata da quegli stessi chili, nei confronti di come la nostra società non accetti le persone obese e come queste vengano trattate: superficialmente e come fenomeni da baraccone. La causa dell'obesità sembra cadere sempre e solo sul cibo. E se fosse altro?
Molte persone obese non sono in grado di incanalare i propri stati d'animo, se non nel cibo. Vi faccio un esempio: sono incazzata, mi mangio un panino. L'obesità parte, secondo me, dal cervello.
Categoria da eliminare: le suddette persone, soprattutto male informate e ignoranti nei riguardi di un tema delicato, che spendono il loro tempo nel prendere in giro le persone obese. Rientrano in questa categoria: la televisione tutta, stilisti, riviste femminili in genere, pischelli e bulletti, palestrati e fotomodelle, hostess d'aereo, gente comune che non s'informa. Naturalmente, non voglio farne di tutta l'erba un fascio.
L'obeso non può, salvo rare eccezioni:

* fidanzarsi o avere una storia con qualcuno. Perchè poi salta sempre fuori il discorso: "a me non interessa se sei bello fuori, conta quello che c'è dentro". Palle, palle. Chi scegliereste per tra Charlize Theron e Beth Ditto (cantante dei Gossip, peso 100 chili)? Ditemelo.

*comperare un capo d'abbigliamento che non abbia una paillets o uno strass. Io quando ero obesa indossavo o una t-shirt da uomo (e quella dei Subsonica la conservo a mò di cimelio) oppure una felpa Nike da uomo. Da donna mi rifiutavo di comprare abiti che non rispecchiavano quello che dovevo esprimere.

*mangiare da solo in un qualche posto, in una strana ora. Mi è capitato, per esempio, che se sbagliavo a mangiare qualcosa alle 11.55 del mattino, perchè dopo avevo un impegno, iniziano tutti a guardarti male. Sarà...

*andare in discoteca. A 19 anni mancava poco che indossassi il burka per andare a ballare con le mie amiche.

*andare a Gardaland sui giochi pericolosi, perchè un'altoparlante ti ricorda che "le persone che superano i 90 chili, sono pregate di scendere dall'attrazione".

*avere una considerazione di sè stesso, perchè il tuo mondo non te lo costruisci tu, ma te lo costruiscono gli altri.

La soluzione è stata:


Vi piace? A me sì. Tre anni fa giusti, giusti.
L'altra sera ero al Magnolia e in attesa di sentire dei dj e di smaltire un pò la sbornia da birra (purtroppo, dopo l'operazione, bevo due birre e sono ubriaca), parlavo con due miei amici su quello che ne era stato e dell'operazione.
S'è alzato il polverone. Uno di loro, mi rimproverava di aver fatto la fine di una protagonista di una canzone di Fabri Fibra, della quale non ricordo più il titolo, la quale ha deciso di trasformarsi per piacere agli altri, ma poi è stata la prima a non piacersi più.
Grazie Paolo. Mi sono sentita veramente bene. Soprattutto per il paragone con Fibra. Poi, però, pensandoci...Ma forse anche no! Non ci sta l'essere obesi con l'essere sovrappeso, non ci sta proprio cazzo. E' come se uno si portasse appresso tutti i santi giorni, mattina, pomeriggio una persona di 50 chili. La sensazione è quella di non riuscire più a fare nulla, ma non solo fisicamente, anche mentalmente e socialmente. Devi trovare qualcuno, in questi casi che creda veramente in te. Se no si diventa scemi con 130 chili addosso. Non lo auguro a nessuno. D'altro canto servono persone normopeso che non si fermino sulla superficie dell'informazione, che scavino tra le righe, tra le parole delle notizie, che alzino il culo e, oltre, che andarlo a muovere in un qualche locale fighetto, si prendano la briga di vedere dov'è il problema reale. E' l'obesità che è una malattia ed evidentemente io di germi ne ho ancora addosso. E con questo basta.

Intermezzo d'altri tempi.


Rubo dello spazio serio, per inutili intermezzi d'altri tempi. Ieri, passato da cinque minuti, è stata una giornata da eliminare dal calendario personale. Ho pensato di essere diventata un pò emo ad un certo punto. Evidentemente ho un pò ragionato delle stronzate che ho fatto questa estate.
La giornata di merda è iniziata con un incubo fatto la notte precedente: allora la location era un campo che, chi conosce dove abito, sa che circa 10 anni fa era lì, poi non fa niente se ci hanno costruito dei bei palazzoni stile Scampia. Dunque, questo campo era sempre ricoperto, per la stragrande parte dell'anno da quell'erba un pò alta che quando ci corri dentro ti taglia un pò e che ti fa venire le gambe rosse. Da piccola, insieme a mia sorella, Sergio e Pierluigi ci giocavo sempre, d'estate o con la neve, non importava. Ecco. Prendete il campo e spostatelo, com'era, al 15 agosto 2009. Non so perchè, ma la mia famiglia e il vicinato stavamo facendo un bel picnic sul quel prato e d'improvviso si scatena un vento fortissimo. Cosicchè, tutti iniziamo a raccogliere la nostra roba...Ad un certo punto, spuntano dal cielo tre aereoplani, non so dirvi se erano piccoli o grandi, avevano comunque la forma di un Boeing e anche tutta la serie di finestrini. Bene, o meglio male, una folata di vento inizia a far sbandare questi aerei i quali arrivano in picchiata e oscillando proprio sul campo sopracitato. Fatto sta che la mia vicina di casa, tale sig.ra Giuseppina, signora oltremodo gentile sulla sessantina e ormai nonna, si vede piombare uno di quegli aereoplanini sulla testa, come se fosse un falco e per mettersi in salvo, s'aggrappa alle ali. La scena che ho negli occhi da ieri notte è la seguente: lei aggrappata a questa ala d'aereo che strilla e piange, l'aereo, oscillando, va a sbattere contro l'angolo esterno della casa della sig.ra Giuseppina, ma il botto era paragonabile a quello di un petardo. Risultato: la mia vicina morta e suo figlio che esce sul balcone e come se niente fosse dice al suo cane: "Pippo, smettila di abbaiare" e poi rientra in casa.

E' tutto il giorno che sto di un pessimo umore. S'aggiunge anche, intorno alle ore 12, l'allagamento dello schermo del mio mcbook, causato da una mia frettolosa pulizia. In pratica, spruzzando deliberatamente del Vetril sullo schermo (sapete, di solito mi limito a spruzzare il detersivo sullo straccio e poi passare), il liquido si è infiltrato nella cornice del computer, creando una chiazza più chiara disumana. Stavo per piangere. Ma anche no. Essendo più o meno ottimista, e non volendo peggiorare la mia situazione emotiva già alquanto precaria, ho deciso di aspettare un pò di ore. Fortunatamente adesso se n'è andata.
Poi, nel frattempo, pensavo quanto i Kraftwerk in "Computerworld" nel lontano 1981, avevano già visto in questi aggeggi le enormi potenzialità, tra cui quella di poter immagazzinare dati che rimangono in un limbo (e che la CIA, KGB o chi per esso sia, avrebbero prima o poi utilizzato, ma questo sta nella canzone). Comunque, CIA o KGB, in quel limbo, chiamato memoria virtuale, oggi c'era un pezzo della mia tesi. Lo immaginavo sospeso lì, tra miliardi di calcoli, radici quadrate, algoritmi, silicio, mele morsicate, come in una grande discarica di dati senza un padrone, senza un schermo per poter essere visualizzati. E un pò mi sono cagata addosso, diciamocelo.



E arriviamo a circa due ore fa. Quest'estate, per la precisione, se non ricordo male luglio, ho avuto un diverbio con persone che erano in compagnia. Per degli errori sintattici, ma non di sostanza, e attraverso un canale di comunicazione errato, si sono visti pervenire dalla sottoscritta una "critica" (se così si può chiamare) sul loro comportamento. Non amo in generale quando la gente ti sbatte in faccia il potere che può avere sugli altri (sia esso dovuto dai soldi che questa persona ha, sia esso derivante dall'aspetto fisico, dalla cultura). Non mi piace la gente che si vanta. Punto e basta.
La frase, in poche parole, è stata: "Mi stai sul cazzo". Punto. Il fiume ha rotto gli argini e s'è allagato tutto. Io, forse da stupida, mi sono tirata indietro e ho rinunciato a vedere delle persone a cui voglio tutt'ora bene e che mi mancano un sacco. Però è andata così.
Adesso. Mi chiedevo se a quelle persone a cui è pervenuto il messaggio potessi chiedere scusa. Ma non per il contenuto del messaggio, per la sintassi e il lessico.

Musica elettronica.
Buonanotte.

P.S. Da domani il blog ritorna "serio".

mercoledì 2 settembre 2009

Ritorno da lei.


Ho trovato, durante la mia ricerca, veramente interessante questa iniziativa che, più o meno sponsorizzata da associazioni, si sta diffondendo in Italia, soprattutto nelle nostre campagne: i Farmer Market.
Si tratta per lo più di allevatori o agricoltori che decidono di organizzare piccoli mercatini nelle grandi città, vendendo i loro prodotti, senza che intervenga la grande distribuzione, e facendo sì che la filiera si accorci.
I vantaggi sono molti: si vendono solo merci prodotte direttamente, non più vecchie di due giorni, prezzo fisso ed esposto, si conosce direttamente il produttore (e se capita scappa anche la visita alla sua cascina), prodotti a km 0, con conseguente riduzione dell'inquinamento dovuto a trasporto, imballaggio, ecc.
Poi, l'altro giorno, uscendo di casa per un giro in bicicletta, ho notato che appena in fondo alla pista ciclabile che va da Sergnano a Pianengo è comparso un bel cartello con scritto "Formaggi e yogurt"... La famiglia che la gestisce sono conoscenti da anni: hanno le mucche, gli animali da cortile, i campi.
Non ho ancora fatto visita loro, ma ben presto ci farò un salto. Questa cascina si trova in via S. Francesco a Sergnano, in fondo alla pista ciclabile e prima della rotonda per Pianengo.
Vi lascio anche alcuni link, se volete un pò approfondire l'argomento e trovare il mercatino più vicino a casa nostra. Se tutti facciamo qualcosa, sono sicura che il nostro mondo diventerà migliore.

*Da un articolo di Repubblica:

*Progetto agri-life degli studenti della Cattolica:

*Dalla Coldiretti:


martedì 1 settembre 2009

Qualcuno dovrà pensarci.


TORINO - Nostalgia canaglia. A portare sulle tavole italiane nacho, tacos, tortillas, chili con carne e poi cous cous, spaghetti di riso e germogli di soia sono soprattutto “le emozioni vissute in un viaggio”. “Il cibo - dice Paolo Gramigni, consulente di Slow Food- è parte importante di queste emozioni. Vuoi rievocarle e riviverle assieme agli amici. E allora cerchi gli ingredienti giusti e ti metti ai fornelli”. Un tempo, per ricordare un viaggio, c’erano le diapositive. Ora ci sono le cene a base di chuno (patate secche delle Ande) o machoiron, pesce lucertola della Thailandia. Come frutto il pomelo, che sembra un pompelmo gigante, arrivato dalla Cina. Sono tre le strade che portano nel nostro stomaco i cibi di tutto il mondo: i fast food con kebab, falafel e altro che, a dispetto dell’ordinanza di Lucca, hanno occupato tutti i centri storici; i ristoranti etnici, riforniti dai negozi aperti da immigrati per gli altri immigrati e infine le confezioni “industriali” di cibi esotici che l’italiano, pagando caro, acquista nei super e negli ipermercati della grande distribuzione. Strade diverse che difficilmente si incontrano ma che hanno già portato un risultato: basta cercare e si trova di tutto, anche l’umido di lumache della foresta africana o la gallina affumicata in Vietnam e portata in Italia via Francia.


Basta entrare nel grande negozio di Huang Bing Jin, a fianco della stazione di Porta Nuova, nel quartiere San Salvario di Torino, per assaggiare il mondo. All’ingresso, un calendario di padre Pio fabbricato in Cina. In fondo, colpi di martello. Un ragazzo sta picchiando su un cacciavite per staccare i singoli pesci da un blocco di sgombri surgelati. Poi li mette in sacchetti di nylon, pronti per la vendita. Nessuna indicazione di “filiera” o di scadenza. I pesci che cadono sul pavimento vengono recuperati e messi in sacchetti.

Pochi passi e dalla Cina si corre nell’America del Sud, poi in Africa. Coconut Juice, succo di cocco, e Chrysantheum drink dalla Thailandia. Zathor (timo, sesamo e sale) dal Libano. Peperone nero del Perù e fagioli rossi (amati da pakistani, indiani e sudamericani) confezionati in Inghilterra. Ecco le Bitter leaf, le erbe amare, amate dalle cuoche nigeriane e i mucchi di igname, enormi tuberi africani, che vanno cotti o pestati nel mortaio.

“I prezzi - dice Elena Giovanelli, che insegna “cucine del mondo” nei master di Slow Food - sono buoni. Per le norme igieniche c’è ancora molto da fare. Nella stessa scaffalatura, da una parte c’è il cibo, dall’altra i detersivi. E quegli sgombri surgelati divisi con il cacciavite… Ma questo negozio, un tempo riservato solo ai cinesi, ha un grande pregio: riesce a soddisfare anche le domande più particolari. Qui la signora marocchina, nigeriana o peruviana riesce a trovare gli ingredienti giusti per preparare la cena che piace al marito, salsa compresa. Riesce a portare nel suo appartamento torinese quei profumi di cucina che fanno parte della sua cultura. E trova anche i cosmetici usati quando era ragazza”. Confezioni di riso da un chilo, ma anche “riz parfumé de Thailande”, in sacchi da 25 chili a 28 euro. “Gli extracomunitari di Torino vanno al supermercato per la spesa di ogni giorno, ma vengono qui a cercare, soprattutto per i giorni di festa, i sapori del loro passato”.
Via Po, che da piazza Castello porta al fiume, farebbe impazzire un amministratore di Lucca e porterebbe tanta gioia ai turchi che ieri, contro il blocco del cibo etnico, hanno minacciato di bloccare la pizza. Otto fra fast food, “Po kebab e falafel”, “Pascia Istambul falafel e kebab”, “Kebab e falafel”. Con 5,5 euro mangi, seduto, un piatto di kebab con cous cous, insalata, salsa di ceci allo zenzero e focaccia. La nobile via Po è la strada dell’università e gli studenti fanno la fila per questo cibo veloce a portata di tasca.
A Torino ci sono oggi 411 ristoranti cinesi (nel 2001 erano 135) che danno lavoro al 37% dei 4.081 cinesi residenti in questa città. Ma ormai di “cinese” sono rimasti solo i proprietari: sui tavolini laccati, invece di involtini primavera e riso alla cantonese, vengono serviti sempre più spesso spaghetti, pizze e altri piatti italiani. Il boom degli anni passati è solo un ricordo anche per la concorrenza di tante altre offerte “esotiche”.

“Contro il cibo etnico - dice Vittorio Castellani, torinese, noto come Chef Kumalè e autore di “Il mondo in tavola” (Einaudi) e organizzatore del Festival internazionale del cibo da strada a Cesena - ci sono segnali di profonda intolleranza. Giusto difendere i cibi italiani, il tipico e il tradizionale, ma l’esaltazione narcisistica delle radici culinarie può aprire la strada a un fanatismo patriottistico. E allora si inseriscono quelli che gridano “più polenta e meno cous cous”“. E prosegue: “Il cibo è identità, ma non si deve esagerare. Senza contaminazioni da Paesi lontani non avremmo pomodoro e pasta. Bisogna anche sapere cogliere le opportunità offerte dai nuovi mercati. Ci sono sapori che senza gli indiani, i pakistani, i nigeriani mai avremmo assaggiato. Gli immigrati appena arrivati sono poveri e con i loro mercati offrono occasioni ai poveri italiani. A Porta Palazzo gli italiani che non arrivano a fine mese vanno a comprare il maiale venduto dai romeni a 2,50 euro al chilo, frequentano la macelleria africana che vende frattaglie: cuori, polmoni e anche peni di manzo. È l’unica carne che si possono permettere. Tanto, anche prima mangiavamo queste frattaglie, comprate dalle industrie e trasformate in dadi da brodo”.

Nelle case della gran parte degli italiani il cibo etnico arriva attraverso la Grande distribuzione. Fra il 2003 e il 2006 - secondo il rapporto Coop del 2007 - il consumo è aumentato del 36%. La graduatoria dei cibi vede ai primi posti riso alla cantonese e pollo alle mandorle dalla Cina, la salsa chili con tacos e tortillas dal Messico, pita, kebab e falafel dai Paesi arabi. Nel 2008, rispetto all’anno precedente, la vendita di “specialità estere” è ulteriormente cresciuta del 10,5. “Per Coop Italia - dice Piero Raimondi della direzione pianificazione - c’è stato un incasso di 3 milioni di euro. Un terzo per i prodotti cinesi, 0,6 milioni per i messicani”. I cibi arrivati da lontano, negli ipermercati, non sono più relegati in un solo settore. “Il riso basmati sta con gli altri risi - dice Marina Brighenti, direttore dell’ipercoop Borgo alla periferia di Bologna - e le banane platano, quelle da cuocere, stanno assieme a papaya, mango e avocado nel reparto frutta”.

In pochi metri di scaffale trovi poi tutto ciò che serve per rivivere quella cena a Puerto Escondido o quel pranzo a Bankok. Chili con carne, 1,98 euro per 410 grammi (prodotto però in Olanda), 100 grammi di vermicelli di soia (dalla Thailandia) a 2,20. Rispetto ai negozi etnici i prezzi sono più che raddoppiati, ma qui non trovi il pesce gatto essiccato della Thailandia accanto al fustino di detersivo. Il riso profumato della Thailandia qui costa 1,45 per 500 grammi. La busta da 500 grammi di pollo in agrodolce cinese, “prodotto in Ue”, costa 5,95 euro e dentro ci sono riso basmati, salsa agrodolce, ananas in pezzi e spezie ma non il pollo. Taco, tortillas, cialde di gamberetti, fettuccine all’indonesiana. Trovi anche il sushi pronto: 6,35 euro per 210 grammi, 8,95 per 285 grammi. “Gli immigrati - dice Marina Brighenti - arrivano qui verso sera, dopo il lavoro, con le mogli e tanti bambini. Magari acquistano un po’ di spezie ma il carrello lo riempiono con cavoli, verze, patate, cipolle, riso e tanto pollo. Scelgono il pesce che costa meno, come il filettone di malva, chiamato il baccalà dei poveri. Insomma, cose buone a basso prezzo. Come noi italiani, negli anni ‘60”.
Per trovare il cibo dell’altro mondo a volte non serve varcare l’oceano. A Triginto di Mediglia, nelle campagne milanesi, Sergio Scotti della Coldiretti coltiva infatti pak choi, il cavolo cinese, assieme a ocra, ampalaya o zucca amara. “Ho cominciato con il coriandolo, una specie di prezzemolo, ma ormai lo fanno tutti. Ci sono tanti extracomunitari che cercano le loro verdure e allora mi sono messo a coltivarle. Tutti i sabati sono all’ortomercato di Milano, quando è aperto al pubblico, e davanti al mio banco c’è sempre la fila”. Non è stato facile passare da lattuga e carote alla coltivazione del pak choi. “Però - continua Scotti - è una bella esperienza. Il cavolo cinese profuma di senape, è più dolciastro del nostro e dentro sembra una verza. I cinesi ci fanno gli involtini primavera. L’ocra, che arriva da Asia e Africa, assomiglia al peperone ma ha un lontano sapore di asparago. Viene cotta nelle minestre o servita nelle insalate. La mangio anch’io. L’ampalaya no, non mi piace. È amarissima. I filippini invece ne vanno matti. Mi raccontano che la usano anche come una medicina: il giorno dopo che hai bevuto troppo ti fa stare molto meglio. Dicono che è diuretica”.

Forse anche ampalaya e pak choi troveranno spazio sulle tavole italiane. È già successo in passato. Uno strano tubero già coltivato dagli Incas duemila anni fa ora è presente in trattorie e fast food di tutto il mondo. Nome scientifico: Solanum tuberosum. In italiano: patata.

(Dal cous cous al kebab: quando la tavola parla straniero di J. Merletti. La Repubblica, 10 febbraio 2009)


Incomincio.


Mi manca poco, poco, poco alla fine dei miei studi. In pratica la tesi e poi diverrò Dottoressa (Magistrale) in Disegno Industriale, indirizzo Product Service System. Non nego che questi ultimi due anni di Specialistica siano stati un pò difficilini, pesanti o quel che volete (sarà che era tutto in inglese, sarà che comunque era LA specialistica), ma tutto sommato sono stati una bella esperienza. Ho imparato l’inglese prima di tutto, che non è male, qualche parola di cinese, conosciuto compagni da tutto il mondo e, forse, grazie a questi compagni ho imparato che il design che c’è in Italia è il design che c’era 60 anni fa e che da lì non s’è mai mosso. Come se il design italiano fosse stato messo in un bel sacchetto Cuki Gelo e sbattuto nel congelatore. Qualcuno potrà obiettare.

Bene, mi hanno accompagnato in questi due anni svariate cose: la musica, Milano, nello specifico la Bovisa e la spiegazione di Product Service System.

Adesso manca solo la tesi. E siccome tratterà di un argomento che, spero, possa interessare un pò a tutti ho deciso di aprire questo blog e condividere notizie, articoli, fotografie, tutto quello che ritengo/ritenete interessante. Le parole chiave della mia tesi sono: cibo, immigrazione e contaminazione tra i popoli.

Mi piacerebbe mandare un segnale, come quelli che si mandano agli extraterrestri, a cui qualcuno possa rispondere.

Voilà.